Monday 27 May 2013

La sindrome dell'elettore disilluso

Ecco lì che arrivano, puntuali come le zanzare ad agosto: il senso di impotenza, l'indecisione, la tristezza che mi assalgono ogni volta che ci troviamo di fronte all'ennesima prova elettorale, specie quando si tratta di decidere le sorti della città in cui vivo. Sembrerà strano che usi il termine "tristezza", ma non saprei dare altro nome al sentimento che mi prende alla vigilia del voto: per settimane siamo subissati da volantini (specie davanti alle scuole), dagli onnipresenti manifesti elettorali (per la maggior parte abusivi), siamo sfiancati dalle parole, vuote e sempre uguali quale che sia la parte da cui provengono: nelle piazze, in tv, sui giornali, nei litigi di rito. Un chiacchiericcio piatto e continuo che invece di aiutarci a fare chiarezza confonde totalmente le idee.
Per settimane mi trovo a sopportare questa specie di invasione della quiete pubblica con fastidio, con disinteresse crescente di anno in anno. È come se invecchiando, invece di rafforzare (o definire) la mia coscienza politica, la abbia gradualmente azzerata e il momento delle elezioni diventano per me un momento triste e di grande disillusione. Mi reco alle urne non per convinzione ma per abitudine e per senso del dovere, e subito dopo aver espletato il mio diritto-dovere mi assale il senso di colpa e il dubbio di aver fatto la scelta giusta, ammesso che esista davvero una scelta che possa definirsi oggettivamente giusta. Adesso, a poche ore dal mio voto, mi chiedo se abbia senso votare come faccio ormai da tempo immemorabile, senza entusiasmo e addirittura per ripiego. Sono sinceramente stufa di scegliere il "meno peggio", o addirittura, in alcuni casi "il male minore". Non è così che dovrebbe essere.
Pur non essendo la mia città natale e pur essendo una città che risulta pressoché incomprensibile persino a coloro che ci sono nati, cresciuti e che non se ne sono mai allontanati, sento un grande senso di responsabilità nei confronti di questo luogo che mi ospita da più di dieci anni (escludendo la mia "parentesi Londinese"). Roma è una città che ti incanta, che ha una bellezza intrinseca, un carattere peculiare che la distingue rispetto a tutte le altre capitali del mondo, è unica nel suo genere. Ma come lo è in positivo, lo è anche in negativo, perchè come sa bene chi a Roma ci vive e non ci viene solo in vacanza, è una città che richiede la pazienza di Giobbe per sopportare disservizi e un degrado, che - pur probabilmente non sorprenderebbero in una città di provincia, magari del sud (lo dice una che è nata al sud-sud ed è abituata alla condizione di cittadina-di-seconda-classe che trova da sempre stampata sulla sua carta di identità vicino alla voce "nata a...") - non ci si aspetterebbe da una capitale, anzi: da una capitale europea, anzi: da una capitale di un Paese che fa parte (ancora) delle 8 principali potenze industrializzate del mondo.
L'ho fatto in altre occasioni, quindi non mi dilungherò su cosa non mi piace di questa città, e non mi lamenterò della città come fanno tutti e come spesso mi trovo a fare anch'io quando arrivo al limite della sopportazione, ma, posta di fronte a una scheda elettorale larga 1,20 cm, mi chiedo semplicemente cosa posso fare perchè il mio voto sia veramente utile, perchè cioè sia indirizzato a qualcuno che riesca a essere a fare la differenza per questa città, non a fare miracoli (come tutti dicono di poter fare in campagna elettorale), ma almeno riuscire seppur in una piccola percentuale a migliorare la vita dei cittadini. Chè lo sappiamo tutti che Roma è, per natura, di gestione molto difficile, ma dev'esserci qualcuno che riesca a guidarla senza farla sprofondare nel baratro.
Come vorrei, almeno per una volta nella vita, votare senza essere avvinta dai dubbi, scegliere il mio canditato consapevolmente e altrettanto consapevolmente essere soddisfatta di me perchè il mio voto era il migliore dei voti possibili.

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