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Monday, 10 March 2014

Di film imperdibili e azioni sconsiderate

Sono una mamma sconsiderata. Sotto la parvenza di genitrice attenta, ortodossa, si nasconde una me superficiale e dissennata, che a volte a merenda propone patatine e caramelle e che porta le figlie a vedere film non ancora adatti a loro.
A confermarmi di essere sconsiderata non serviva un film. Lo so da me. In realtà non è che non ci abbia pensato, ma a volte (quasi sempre) le occasioni vanno prese immediatamente, quali che siano le conseguenze.
Quando "La mafia uccide solo d'estate" è uscito per la prima volta nelle sale desideravo andare a vederlo, ma come al solito mi si era presentato il problema del "a chi lascio le bambine", visto che il mio consorte - per quanto adorato - è raramente disponibile, preso com'è dalle sue infinite beghe lavorative, e non abbiamo parenti (nonni, fratelli, sorelle) che possano occuparsi di un baby-sitting lastminute, quindi, avevo rinunciato (come già fatto mille altre volte). Quando venerdì scorso ho visto che il film era stato riproposto nel cinema vicino casa in seconda visione mi è tornata la voglia di andarlo a vedere, e insieme a alla voglia è tornato anche il problema. Mi si era palesata in mente l'idea di portarle con me, ma temevo che trattandosi di film che parla di mafia - per quanto con spunti comici - presentasse scene troppo violente, non adatte a una novenne, e men che mai a una treenne. Mi sono dibattuta fino a quando - probabilmente forte dell'adrenalina accumulata nella corsa mattutina - ho deciso che ci sarei andata, pensando che:
1. Le seconde occasioni non si rifiutano. Semplicemente perchè non ricapitano. Mai.
2. Scegliendo lo spettacolo delle 21.00 A. si sarebbe addormentata dopo il primo minuto (cosa che ha fatto puntualmente) rimuovendo parte del problema.
3. Se il film mi fosse sembrato inadatto alle bambine avrei sempre potuto alzarmi e uscire dal cinema.
Ed è stata una saggia decisione, perchè il film era meraviglioso.
Di una semplicità disarmante e una profondità estrema.
Un film che fa passare dal riso al pianto nel giro di un minuto.
Un film che non mi sarei mai perdonata di aver perso, perchè contiene uno scenario che mi è estremamente familiare ed è ambientato in un periodo che ho vissuto personalmente.
Non sono siciliana e sono leggermente più giovane del regista (formidabile Pif!) ma io alcune di quelle scene ce le ho ben presenti, specie la strage di Capaci e quella di via D'Amelio. Negli anni '90 vivevo a Reggio Calabria e ricordo che allora non passava settimana che in città non ci fosse un delitto di mafia. Ero adolescente, la cosa mi toccava solo passivamente, da spettatrice, e ormai si era passati dall'eccezionale alla routine, che appiattisce pure l'orrore e seda la paura. In tutto ciò non voglio dare l'idea che tutto fosse normale. Non era normale affatto. Ma a un'adolescente immerso nel suo mondo di adolescente, certe cose, specie se reiterate, entrano in sordina nella sua vita fatta di uscite, amici e scuola. Ma ricordo come fosse oggi una mia compagna entrare in classe, un giorno, descrivendo in lacrime la scena cui aveva assistito la sera prima, quando durante una passeggiata lungo il corso aveva quasi assistito a un omicidio. Era passata davanti il luogo in cui poco prima si era svolto l'ennesima resa dei conti nella lotta tra cosche.
Ricordo anche la sensazione che mi dava passare in quelle stesse strade in cui sapevo essersi svolto un delitto. Camminare sui marciapiedi e pensare di intravedere tracce di sangue, ancora dopo mesi. E il senso di rabbia e di impotenza che assale quando sei costretto a subire una cosa che non vuoi e ti ritrovi senza via d'uscita.

Nonostante le scene particolarmante "forti" (immagini di repertorio), non siamo uscite dal cinema. Non so se la visione di questo film lascerà degli strascichi sulla psiche di mia figlia, che mi ha detto di esser rimasta sconvolta - in mezzo all'abbondanza di esplosioni e morti ammazzati - dalla visione di una mano carbonizzata che regge una pistola. Ma le è servito per introdurre una nuova parola nel suo dizionario emotivo. Le è servito a imparare che la mafia esiste ed è dappertutto. Che nel mondo c'è il male. E per rifiutare il male, bisogna saperlo riconoscere.
Probabilmente se H. avesse avuto qualche anno in più sarebbe stato meglio. Ma in ogni caso avrei dovuto spiegarle passo passo le scene del film come ho fatto adesso, visti i tanti riferimenti a situazioni e personaggi che lei, come anche ragazzi più grandi di lei, non conoscono.
L'ho ringraziata, alla fine del film. Per avermi permesso di fare questo gesto sconsiderato, che mi ha fatto ridere e piangere in modo liberatorio per 90 minuti.

Quando sono diventato padre ho capito due cose: la prima che avrei dovuto difendere mio figlio dalla malvagità del mondo, la seconda che avrei dovuto insegnargli a distinguerla.


Wednesday, 13 March 2013

E ora dove andiamo?

La settimana scorsa, vincendo la mia consueta pigrizia, ho preso in mano la cornetta (si chiama ancora così?) e ho invitato a pranzo mia cugina, uno dei rari membri della mia famiglia che viva nella mia stessa città.
L'invito è stato positivo per molti aspetti: prima di tutto perchè ho rivisto A., che nonostante abiti a poche fermate di metro da me, incontro davvero ogni morte di Papa (viste le circostanze potrei dire ogni "dimissione" di Papa); perchè grazie a questa visita mi sono messa ai fornelli e ho provato a fare qualcosa di diverso dal solito (ho fatto un risotto al radicchio e un tacchino alle mandorle discretamente buoni, segno che se mi impegno qualcosa mi riesce) e poi perchè, approfittando del fatto che A. è un'appassionata di cinema (essendo lei stessa attrice) ho potuto finalmente avere la scusa per vedere un film di cui avevo comprato il dvd mesi fa, il primo lungometraggio non esclusivamente destinato all'infanzia che vedessi da tempo.

Si tratta dell'opera di una regista-attrice libanese che mi piace molto perchè, oltre ad avere una bellezza fuori dal comune (che, ad occhio, mi sembra naturale: una rarità in un Paese come il Libano, in cui impazza la chirurgia estetica), è anche straordinariamente brava, creativa e originale (e come se non bastasse ha pure un marito fighissimo che tra l'altro è l'esecutore delle musiche - altresì meravigliose - dei suoi film). E' Nadine Labaki. Di lei avevo visto qualche anno fa Caramel e mi era piaciuto tantissimo per quel modo lieve e ironico in riusciva a descrivere la società mediorientale.
Su questo suo nuovo film "E ora dove andiamo?" avevo avuto giudizi contrastanti ed ero curiosa di verificare da me. Il film è meno leggero del primo, perchè si propone di approfondire temi difficili come il conflitto religioso, la tolleranza e le difficoltà della convivenza tra fedi diverse che è comunque una realtà in Libano, nonostante questo paese, rispetto ad altri paesi multireligiosi, sia (al momento) forse uno dei più tranquilli.
Il film mi ha lasciata inizialmente un po' perplessa dal momento in cui associa momenti molto leggeri e comici a scene di una drammaticità devastante (io che ho la lacrima facile non mi sono risparmiata) ma alla fine ci si abitua ai salti di stile e genere (la Labaki infila, in poco meno di due ore di film, commedia tragedia e persino musical) e addirittura li si apprezza e accetta come cifra stilistica della regista.
La cosa che ho più amato di questo film è il modo in cui la Labaki mette in rilievo la peculiare e unica capacità delle donne di saper conciliare, comprendere, minimizzare, appianare anche di fronte alle situazioni più difficili e ingarbugliate, laddove gli uomini, tutti istinto e irragionevolezza, ricorrerebbero più semplicemente alla violenza. E' quasi un voler celebrare la superiorità delle donne in questo aspetto, questo carattere distintivo che le fa essere indispensabile strumento di pace. Ho sempre pensato che se il mondo fosse governato dalle donne la guerra non esisterebbe, e la Labaki, con questo film, sembra proprio sottolineare questa idea, accentuando anche il valore indiscutibile della solidarietà femminile che spesso nella vita comune viene messa da parte a causa dell'invidia, e che invece permetterebbe alle donne di essere l'elemento risolutore di ogni conflitto.


Saturday, 27 October 2012

Di eroine ribelli e bambine afone

E così ce l'abbiamo fatta. Proprio nel giorno in cui dovevamo festeggiare la piccola, io e la grande ci siamo concesse un'uscita madre-figlia, e siamo andate a vedere Ribelle, lasciando a casa a sonnecchiare gli altri membri della famiglia. Ebbene, mai film fu più azzeccato per un'uscita tra donne (anche se di "taglie" diverse). Il conflitto generazionale, l'adolescenza, la ribellione alle regole costituite, l'identificazione madre-figlia, l'affermazione della personalità, la paura, il coraggio, la solidarietà femminile: di temi ce n'erano in abbondanza, magari non tutti sviluppati approfonditamente, ma sicuramente interessanti a tal punto da lasciarci incollate allo schermo per tutta la durata del film. Dopotutto l'eroina del cartone è esteticamente uno dei personaggi più interessanti del cinema di animazione degli ultimi tempi: con quello sguardo birichino e quei capelli che mai hanno conosciuto pettine (la zazzera cespugliosa, seppur di colore diverso, mi ricorda molto la mia!) riesce a conquistare tutti. Poi, l'ambientazione scozzese, con i suoi highlands selvaggi e verdeggianti rende l'atmosfera particolarmente suggestiva e si accorda perfettamente al carattere del personaggio.
Uniche note stonate: l'eccesso di aggressività di alcune scene (quelle con l'orso cattivo), che secondo me ne fanno sconsigliare la visione ai bambini piccoli, e l'eccessiva loquacità delle nostre vicine di fila che non hanno esitato a commentare ad alta voce ogni singolo fotogramma (seppure vivaci, i bambini erano di gran lunga più sopportabili delle loro mamme logorroiche).
Tutto sommato, un film da vedere. Consigliato alle donne coraggiose.


Nota a margine: la bambina afona cui mi riferisco nel titolo è mia figlia, che da due giorni ha perso la voce.

Thursday, 9 February 2012

Ora o mai più: Midnight in Paris

Ora o mai più è quello che mi sono detta la settimana scorsa, quando, per una quanto mai provvidenziale congiunzione astrale (o più plausibilmente grazie all'intercessione di qualche santo mossosi a pietà) si sono verificate le seguenti fondamentali condizioni:
1) Il mio adorato consorte alias lavoratore indefesso è tornato a casa alle 19.30 - cosa che ha del miracoloso.
2) Il cineforum vicino casa proiettava proprio il film che avrei tanto voluto vedere quando era uscito nelle sale principali ma che (al solito) non mi era riuscito di vedere per "problemi di gestione familiare".
Potevo non approfittare di tali coincidenze? Potevo perdere questa ghiotta occasione? In realtà, stavo per farlo, ma ricordandomi il mantra di una nota industria cosmetica, ho deciso di no, visto che era da tempo immemorabile che non godevo di un (giusto e meritato) me-time. Ecco quindi che, alle 20.40, salutato il resto della famiglia, sono uscita al freddo e al gelo (che ha preceduto la nevicata) con l'aria felice e spaesata di un detenuto cui viene concessa la libera uscita a sorpresa.
Il film che mi sono regalata (e goduta) è stato Midnight in Paris. A detta degli esperti di Allen, non il suo film migliore, ma che io ho trovato piacevole, surreale e suggestivo. Davvero questo regista ti fa innamorare dei luoghi che descrive. Si può obbiettare che la città è descritta come la vedrebbe un turista, ma la Parigi "versione edulcorata" di Woody Allen è esattamente quella che mi aspetto di vedere in un film che si propone di esaltare la bellezza e non le (comunque immancabili) brutture della città. Ed è quella che mi scatenato una tale nostalgia per questa città che vorrei tornarci al più presto.
(L'unica cosa di cui mi sento di dissentire dal regista è che Parigi sia ancora più affascinante quando piove: l'ultimo viaggetto che abbiamo fatto in questa città ha piovuto così tanto che io e l'adorato stavamo per trasformarci in rane, e la cosa non ci è sembrata affascinante per nulla!)
I temi affrontati nel film sono i sentimenti e la nostalgia del passato.
Chi non ha mai pensato che vivere in un'epoca diversa ci sarebbe piaciuto di più? Chi non ha mai pensato almeno una volta nella vita che il tempo che viviamo adesso non ci meriti, o non ci abbia capiti, o non ci gratifichi abbastanza, e non ha pensato - volgendo lo sguardo a un periodo mitizzato - che "quelli si che erano bei tempi, allora sì che avrei potuto esprimere il meglio di me"? Il regista cerca di rispondere a questa domanda fantastica con un film fantastico e surreale, con una versione updated e adulta di "Ritorno al futuro" che, se è vero come dicono in molti non strappa troppe risate, è comunque divertente e curiosa. La risposta al quesito iniziale è abbastanza banale, ma vera. Tutte le epoche hanno le loro pecche, e il fatto che si viva bene in un periodo piuttosto che in un altro dipende dal saper riconoscere i piccoli miracoli che avvengono quotidianamente nelle nostre vite, come quelle piccole coincidenze casuali che ci fanno incontrare l'uomo (o la donna) della nostra vita in un negozio che vende i dischi del nostro autore preferito.
Il fatto che il luogo in cui lo/la incontriamo abbia la stessa magia di Parigi di solito aiuta. Molto.

Wednesday, 7 April 2010

Nicolas

10 ragioni per andare a vedere "Il Piccolo Nicolas e i suoi genitori":

* E' un film per bambini, ma piace tanto agli adulti (che non hanno dimenticato, in fondo, il bambino che conservano dentro sè).
* E' un film che ci riporta agli anni '50, un'epoca idilliaca in cui molti di noi non ha mai vissuto ma che appare quasi mitica: una specie di mondo dorato in cui la fantasia non era ancora stata sostituita dalla tecnologia e dall'automatismo che uccide la spontaneità e il senso di libertà dell'infanzia.
* Attori straordinari (oltre al bravissimo Kad Merad, già apprezzato nello spassoso Giù al Nord, tutti gli interpreti sono eccezionali, soprattutto i bambini).
* E' un film interpretato quasi esclusivamente da bambini, che fanno i bambini e non si atteggiano ad adulti.
* E' la dimostrazione che un film può essere attraente pur essendo privo di scene che comprendono:
1) turpiloqui e volgarità di vario genere,
2) sesso,
3) violenza (nè esplicita, nè subdola)
* E' tratto dalle storie di Goscinny, praticamente una garanzia, visto che si tratta del famosissimo autore di Asterix e Obelix (e nel film si ha un riferimento esplicito a questo fumetto) che nella versione cartacea si avvale delle illustrazioni di Sempé.
* Vi ho ritrovato una certa familiarità in alcune scene..
* I personaggi hanno un po' della leggerezza e della grazia di Amelie Poulin, senza la vaghezza che la caratterizza.
* Ci ricorda che l'infanzia può essere il periodo più drammatico come il più meraviglioso della vita.
* E' leggero, brillante, a tratti esilarate, in una parola: delizioso (e fidatevi, per una volta!)

Tuesday, 9 February 2010

Genitori sconsiderati

Qualche giorno fa siamo andati a vedere Avatar e (malgrado le aspettative) mi è piaciuto. Classico fumettone scacciapensieri, di quei film che ti permettono di svagarti, staccando - una volta tanto - il cervello, ben fatto.
Sul fatto che sia stato appropriato trascinare a vederlo anche una bambina di 5 anni, cresciuta (finora) a pane e Pippi Calzelunghe e/o Mary Poppins, mi sto ancora interrogando. Forse prima di portarcela avremmo dovuto informarci che il film fosse pedagogically correct, ma, come si suol dire, quel che è fatto è fatto.

"Allora H. ti è piaciuto il film?"
"No... era noioso, lunghissimo e poi c'erano troppi mostri."
"Ti hanno fatto paura?"
"No, ma non mi piacciono i mostri."
"Ma davvero ti sembravano mostruosi? Io li ho trovati carini, tutti blu, come i puffi..."
"Sì ma i puffi non sono alieni alti tre metri, con una coda lunghissima che quando si muove può fracassare una macchina, e che combattono con uomini e animali strani e cattivi."
Effettivamente forse è un po' azzardato estendere il concetto di carino a un simil-felino gigante vagamente lucertolato.

Con un certo sollievo ho constatato che le scene forti del film non l'hanno turbata tanto da darle gli incubi, anche a due giorni di distanza dalla visione del film. Io comunque la tengo ancora in osservazione. Non sia mai che, tra trent'anni debba confidare a un'analista di aver subito trauma infantile per il fatto di esser stata accompagnata al cinema a vedere Avatar dai propri genitori.
I sensi di colpa materni conoscono percorsi tortuosi.

Monday, 1 February 2010

Ho sempre avuto

Ho sempre avuto la lacrima facile. A tal punto che, a volte, quando vedo un film o leggo un libro particolarmente commovente devo trattenermi a stento dal singhiozzare. Questo da sempre, anche se il mio "problema" si è particolarmante accentuato da quando sono mamma, anzi da quando ho scoperto che lo sarei diventata: evidentemente i miei ormoni sono impazziti allora, e non sono mai rinsaviti.

Così è stato quando, ieri, ho visto La prima cosa bella.

La cosa che mi fatto scivolare in una valle di lacrime questa volta è stato (a parte il mio particolare stato d'animo di questi giorni), non tanto la storia, che ha un che di comico e drammatico insieme, ma il fatto che il film "trasudi vita". Non so se riesco a spiegare questa impressione, ma mi sembra che Virzì riesca qui a creare dei personaggi completi, a tutto tondo, appassionanti perchè visti nella propria totalità: è difficile in questo film (come del resto in altri suoi film) trovare una netta linea di demarcazione tra i buoni e i cattivi. Ho come l'impressione che questo regista abbia della vita una visione decisamente anti-manichea: tutti i personaggi incarnano al contempo il bene e il male, hanno enormi pregi ed enormi difetti, sono yin e yang, personaggi orrendi, dal comportamento molto discutibile che però fanno tenerezza e portano all'immedesimazione perchè sono tremendamente umani.

Ci sono svariati coups de théatre, in questo film, che di primo acchito sembrano troppo sensazionali, messi lì solo per sorprendere, ma poi ti dici, no, sono realistici, anche la vita reale a volte ci sorprende con delle rivelazioni apparentemente assurde. Alla fine tutto ha un senso, tutto ha un suo perchè, che inizialmente ci sfuggiva.

Ecco, il mio commuovermi vedendo questo film (come del resto, uno dei personaggi, Anna, fa durante la visione di un altro film) è stato dettato dalla com-passione, l'immedesimazione nei personaggi che, come noi spettatori, affrontano la pienezza e la miseria della vita.

Thursday, 28 January 2010

Come distruggere un mito in poche semplici mosse


Da due anni a questa parte mi ha figlia ha per Pippi Calzelunghe una passione che definire smodata è eufemistico. Fatto sta che oramai la ragazzina dai capelli rossi è presenza fissa in casa nostra: nei telefilm visti ad nauseam, nel libro della Lindgren (che stiamo leggendo, anche se ci sta dando meno entusiasmi che il telefilm), citata e ricitata in innumerevoli conversazioni.
L'altro giorno, inaspettatamente H. mi chiede: "Mamma, ma Pippi esiste davvero?"
Spiazzata dalla domanda rispondo di getto: "Sì, ma è passato tanto tempo da quando hanno ripreso le sue avventure, quindi adesso è cambiata.. "
"Davvero?"
"Sì. Se vuoi posso cercare su internet e farti vedere com'è adesso. E magari vediamo di trovare anche Tommy e Annika.."
"Sì." (fremendo di curiosità)
Un'espressione di incredulità l'attraversa non appena vede queste foto. Appena è di nuovo in grado di richiudere la mascella, se ne esce con un:
"Ma allora le pillole Krumelius non funzionano!!"

* Per gli ignoranti sull'argomento, le Krumelius sono delle pillole che a detta di Pippi impedirebbero di diventare grundi (non si tratta di un refuso: Pippi sostiene che perchè facciano effetto bisogna accompagnarle dalla recitazione di una formula che include la parola "grundi". Se si dice "grandi", non funziona e si cresce ancor più velocemente).
Le stesse pillole nella versione libresca si chiamano "cunegunde".

* Le foto di H. in versione Pippi sono state scattate il giorno della nostra permanenza forzata in casa, quando la pippifila si è travestita usando materiali di recupero (cioè attingendo, oltre che all'armadio, al suo cassetto dei travestimenti e recuperandovi pezzi di vestiti tra i più disparati). Il risultato, tutto sommato, mi sembra abbastanza vicino all'originale..

Friday, 18 December 2009

Ho visto cose

Quando ero ancora una persona capace di intendere e di volere (cioè prima della nascita di mia figlia) sapevo apprezzare la visione di un bel film. Il cinema era un luogo che frequentavo. Non spesso, ma sufficientemente e con gratificazione.
Da 5 anni a questa parte questo mio interesse cinefilo è andato quasi scemando, dico quasi perchè ogni tanto mi capita di guardare qualcosa che non sia necessariamente diretto agli under 14, ma sporadicamente. E non è un problema di tempo, bensì un problema di concentrazione. Dicono che sia normale essere un po' distratti quando si aspetta un bambino, in molte donne il problema continua anche oltre la gravidanza, quando si è già partorito. Come mai a distanza di ben 5 anni io mi ritrovi questo deficit di attenzione tardivo è e rimarrà per me un mistero. Ma tant'è che la visione di un film per intero ormai per me costituisce un'impresa.
Ultimamente sono riuscita a portare a termine una serie di imprese in tal senso, cosa di cui vado abbastanza fiera, sia perchè evidentemente sto migliorando e mantenere la concentrazione sta tornando ad essere una cosa fattibile, sia perchè ho avuto la fortuna di vedere dei film interessanti.

Uno è Persepolis, film di animazione basato sulla storia personale di una ragazza iraniana avente come sfondo la storia travagliatissima dell'Iran degli ultimi decenni. Ringrazio chi me ne ha consigliato la visione.

Un altro è Melodrama Habibi, un film franco-libanese leggero e divertente, che ha come personaggio principale una "meteora", un cantante diventato famoso negli anni 70 per un'unica canzone e che, a dopo 30 anni di oblio, viene chiamato in Libano per tenere un concerto. C'è una canzone che fa parte di questo film che mi fa morire dal ridere ogni volta che la riascolto: un miscuglio di inglese, francese, arabo-libanese, per un testo canzonatorio e surreale, The blues of Abou Zouz.
Il cinema libanese mi attira molto, per ragioni "familiari", linguistiche, e perchè, quando non parla di guerra (genere che amo) produce film freschi e leggeri, che ricordano un po' quelli di Ozpetek, Soldini, Almodovar. Caramel, uscito anche nelle sale italiane un paio di anni fa è un altro film libanese che ho amato molto.

Infine, Mammamia! Visto al cinema, l'anno scorso, rivisto altre 2-3 volte quest'anno (e non finisce qui..). Che dire, mi piacciono gli Abba, mi piacciono gli attori, mi piace la storia e l'ambientazione di questo film è sensazionale. Anni fa (nel 2001, se non erro), a Londra, avevo visto la versione teatrale di questo musical, e già allora ero rimasta entusiasta. Del resto, "how can I resist 'em?"




Sunday, 18 October 2009

In questi giorni..

Ho visto il film Le mie grosse grasse vacanze greche (che - attenzione - non è il prosieguo de Il mio grosso grasso matrimonio greco, anche se la protagonista - Nia Vardalos - è la stessa).
Mi piacciono molto le commedie leggere, ma non demenziali. Questo film, stupidino ma non troppo, ha avuto il pregio di farmi rivedere le bellezze della Grecia (io l'ho visitata anni fa facendo proprio un tour simile a quello del film), enfatizzando e ridicolizzando alcune caratteristiche tipiche dei turisti internazionali. Amo le storie che parlano delle differenze nazionali, senza cadere necessariamente nel cliché, nei luoghi comuni beceri.
Il mio lavoro nel settore turistico-alberghiero mi permette di confermare che la caratterizzazione delle varie tipologie di turisti è nel complesso rispondente a realtà: è vero che la caratterizzazione a volte tende a trasformarsi in stereotipo (e questo è fastidioso: chi di noi non alza gli occhi al cielo quando, all'estero, noi italiani, ci sentiamo appiccicare addosso i soliti adesivi "pizza", "pasta", "mafia"... Il termine "mandolino" ultimamente è stato soppiantato da "Berlusconi", accompagnato da sorrisino e strizzatina d'occhio). Ma è anche vero che esistono dei "tipi" che ricorrono sempre nei viaggi organizzati, e che molto spesso gli appartenenti a una stessa nazione hanno modi di fare e atteggiamenti simili (e i difetti, ho notato, accomunano più dei pregi!!).

Ricordo di un collega di hotel che sapeva riconoscere la nazionalità dei clienti solo osservandoli per qualche secondo, nel loro breve tragitto dalla porta alla reception. Un americano o un tedesco sono facilmente riconoscibili, ma quando ha indovinato la nazionalità di un giorgiano, ho alzato le mani.. Con gli asiatici poi, era imbattibile: gli bastava uno sguardo per distinguere un cinese da un thailandese o un coreano. Praticamente un mito!

Nel film i "tipi" descritti sono così "tipici" da risultare esilaranti: gli australiani dall'inglese incomprensibile (i neozelandesi, a mio parere, sono ancora peggio), il "simpatico" che non fa ridere nessuno, il tizio che trascorre tutto il viaggio attaccato al telefonino (quello è il mio adorato consorte), gli americani che, di fronte al Partenone chiedono alla guida se ci sono centri commerciali nelle vicinanze, le divorziate procaci e superdisponibili, la coppia che litiga in continuazione, con figlia adolescente e asociale al seguito..

La storia d'amore (immancabile) è alquanto prevedibile e poco originale, e magari questo disturba un po'. Ma si può sorvolare, in considerazione dei parecchi dialoghi divertenti, e di una fotografia della Grecia che mi ha fatto venir voglia di ritornarci (già Mamma Mia! aveva fatto la sua parte).

Wednesday, 4 March 2009

Racconti

Non sono mai stata un'amante del racconto breve. Le riserve che ho (o forse dovrei dire avevo) nei confronti di questo genere sono dovute proprio alla sua brevità. Spesso quando le pagine sono poche è difficile per il lettore appassionarsi più di tanto ai personaggi, lasciarsi coinvolgere pienamente dalla storia. Lo scrittore di racconti deve avere, a mio parere, una bravura superiore a quella richiesta per la scrittura di un romanzo di largo respiro, perchè deve riuscire nell'ardua impresa di condensare la propria storia in poche pagine, eliminando tutti i fronzoli, gli ornamenti, le sovrastrutture inutili, senza banalizzare la narrazione.
Il mio avvicinamento (più o meno coatto) al genere lo devo a una mia professoressa universitaria di Letteratura Inglese, che scelse proprio la "short story" come corso monografico. Ricordo che durante la prima lezione ci spiegò dettagliatamente (e molto simpaticamente) il perchè di questa scelta, confessandoci che, contrariamente a più del 90% della sua platea, lei adorava questo genere, non sopportando invece i romanzi troppo lunghi. La ragione di ciò era che, essendo una persona frenetica e impaziente per natura (e posso confermarlo), non sopportava l'idea di dover rimandare continuamente di sapere "come andava a finire la storia", quindi, essendo la sera l'unico momento in cui riusciva a leggere per diletto, le capitava di fare le ore piccole pur di finire i vari romanzi che si alternavano sul suo comodino. Il racconto breve, invece le dava l'enorme vantaggio di riuscire a dormire ad un'ora decente, il che giovava sia alla sua salute (fisica) che a quella (mentale) delle persone con cui aveva a che fare durante la giornata.
Fatto sta che a seguito di questo corso monografico ho fatto un'abbuffata di short stories. Confesso che il romanzo è rimasto il mio genere preferito, ma in quella occasione ho potuto leggere alcune short stories davvero molto belle, come quelle di Katherine Mansfield, che non conoscevo. Da allora mi è capitato di leggere racconti interessanti, altri meno. Fino a quando, recentemente, ho scoperto dei libri di uno scrittore di cui non avevo letto nulla, ma che mi incuriosiva molto: Eric-Emmanuel Schmitt. I libri in questione sono Odette Toulemonde e Oscar e la dama in rosa.

Al primo sono arrivata per vie traverse: avevo letto questo post in cui Fastidiosa parlava entusiasticamente del film Lezioni di Felicità. Durante le mie ricerche sul web di questo film ho scoperto che il titolo in francese era proprio Odette Toulemonde. Qualche giorno dopo, assolutamente per caso, ho visto in una libreria che ne avevano fatto il libro, e in base al principio "prima il libro poi il film", ho deciso di comprarlo. In realtà il principio qui non dovrebbe valere perchè si tratta di un libro tratto dalla sceneggiatura di un film e non viceversa, come è di solito. Ma questa è una cosa in più che mi ha incuriosito.
Il libro è delizioso: contiene una serie di racconti che hanno tutti come protagoniste delle donne, e il loro rapportarsi con la felicità, questo status indefinito che dovrebbe costituire la base della nostra vita. Alcune di queste donne la stanno cercando, alcune hanno desistito dall'impresa, altre l'hanno intravista senza sapere afferrarla, altre l'hanno trovata in luoghi insospettati, altre se la sono negata. Lo scrittore riesce a entrare con leggerezza e semplicità nella sensibilità femminile affrontando i temi della solitudine, la malinconia, la cattiveria, l'impenetrabilità in modo coinvolgente. Ovviamente non tutti i racconti hanno lo stesso valore, ma alcuni sono di una dolcezza disarmante.
Oscar e la dama in rosa è il secondo libro acquistato di questo autore. Lo faccio rientrare nel genere "racconto" visto che come romanzo è davvero molto breve.
Trovo questo libro di una bellezza scovolgente. L'autore ha saputo, in una cinquantina di pagine risicate trasferire un'emozione immensa. Il breve romanzo si svolge durante gli ultimi tredici giorni di vita di un bambino di dieci anni malato di leucemia, Oscar, e la dama in rosa del titolo è un’anziana volontaria dell’ospedale, che rappresenta per il bambino l’unico interlocutore in grado di dare risposte alle sue domande sulla vita e la morte, perché sia i genitori, annichiliti dal dolore e non sapendo come affrontare la situazione, sia i medici, delusi dalla loro stessa impotenza, evitano di parlare sinceramente con lui . Nonna Rosa gli suggerisce un percorso attraverso il tempo che gli permetterà di condensare le varie età della vita in pochi giorni.
E' una fiaba tenera e commovente che spinge a confrontarsi con la paura più grande che l'uomo possa avere: quella della morte.
Dolce, ironico, irriverente, coraggioso: è un libro che bisogna leggere (e rileggere e rileggere).

Wednesday, 11 February 2009

Tra le bancarelle

Il fatto di vivere in un quartiere ad alta concentrazione di venditori ambulanti presenta sicuramente molti svantaggi, quali l'assembramento, il caos, il rallentamento esasperante della mobilita' sui marciapiedi; ma a mio parere, i vantaggi non sono da meno.
Curiosando tra le bancarelle di libri e DVD ho trovato, per pochi euro, autentiche perle: alcuni tra i piu' bei libri della Einaudi Ragazzi, di cui ho fatto incetta: racconti e fiabe bellissimi e accompagnati da disegni straordinari (tra questi i preferiti miei e di H. sono Storie sotto il melo e A pescare pensieri, due libri di racconti in cui alcune parole sono sostituite da disegni, in modo che i bambini piccoli possano partecipare alla lettura "leggendo" le figure).
Qualche giorno fa, poi, ho trovato una serie di DVD che desideravo da tempo: Segreti e Bugie, The Queen, Maria Montessori (il film con la Cortellesi, che ho cercato in ogni dove) e, dulcis in fundo, Essere e Avere.
Quest'ultimo me lo sono letteralmente gustato appena preso: e' un film assolutamente delizioso, delicato, dolcissimo; e' un documentario che riprende la vita all'interno di una scuola della campagna francese, una di quelle scuole vecchio stile, che, visto l'esiguo numero degli alunni, accorpa piu' classi, con un maestro unico che e' anche e soprattutto maestro di vita.
Amo molto il ritmo lento di questo film, le scene che riprendono la vita di classe e il lavoro nei campi, l'alternarsi delle stagioni, i volti dei bambini limpidi e puri, la saggezza dell'insegnante che, severo solo in apparenza, li accompagna dolcemente nel cammino che e' crescere. E poi trovo che la foto del piccolo Jojo sulla copertina sia assolutamente irresistibile.
Guardando il film, mi e' venuta voglia di visitare il villaggio nella regione dell'Auvergne in cui il documentario e' stato girato, e la curiosita' di sapere cosa fanno oggi, a distanza di 8-9 anni, i bambini che frequentavano la scuola, e il maestro, che, durante il film, annuncia ai sui ragazzi che a breve andra' in pensione. Non so cosa darei per soddisfare questa curiosita'.

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