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Thursday, 12 September 2013

Leaving Beirut

Ci svegliamo alle 5, mettiamo in valigia le ultime cose rimaste, alla rinfusa, come al solito. Ci prepariamo ad uscire, con H. prostrata dalla febbre a 39 e il mal di stomaco e noi genitori dalla recente dissenteria (la diarrea del viaggiatore non risparmia neanche noi che siamo all'ennesima visita nella terra dei Cedri e l'adorato consorte che ci è addirittura nato).
Lo zio abouna viene a prenderci con puntualità canadese (in lui la libanesità è recessiva, per nostra fortuna). Salutiamo teta e zia Jojo e ci immettiamo nelle strade di Beirut, stranamente senza traffico. Abbassiamo i finestrini ma l'aria è densa, non eccessivamente calda, ma pesante. E' strano come in questa città l'inquinamento si percepisca già di primo mattino. Ma è piacevole osservare la città silenziosa, calma, sonnolenta. Attraversiamo Centre Ville, rasentando Solidere. Cerco di intravederne gli ultimi cambiamenti, ma passiamo troppo veloci. Questa è la prima volta che non facciamo una capatina in centro a passeggiare, guardare le vetrine dei negozi supercostosi, fermarci a mangiare nei ristoranti all'aperto della via principale, dove tutti rimangano per ore a parlare, fumare l'arghile, osservare la gente che passa: guarda quella come si è rifatta e quella che con questo caldo va in giro col niqab e le buste di Armani, Versace e Bulgari (Saudi Arabia? Emirati?)...
Attraversiamo la Piazza dei Martiri con la Grande Moschea e la Chiesa di S. Giorgio, fa sempre un certo effetto vedere queste due costruzioni così vicine, sembrano fare a gara in magnificenza.
Ci infiliamo in un dedalo di strade e finalmente raggiungiamo l'autostrada che raggiunge l'aeroporto, quella che ha quel lungo tunnel costruito apposta per occultare la vista dei campi profughi. Ne usciamo e ci accolgono, aggressivi come sempre, centinaia di poster pubblicitari, il consumismo è la fede che accomuna e affratella tutti.
La fila di macchine davanti all'aeroporto ci preoccupa un po', ma è nulla in confronto a ciò che ci attende entrando. Un fiume informe di persone bagaglio-dotate, il tipico caos dei paesi mediterranei, che a Beirut - porta d'Oriente - si unisce al tipico caos mediorientale.
Riusciamo ad arrivare al gate in zona Cesarini dopo estenuanti controlli (ho contato ben sette luggage & passport check: qui la sicurezza non è un'opinione), file kilometriche, fauna di ogni tipo girovagante per l'aeroporto. Saliamo in aereo. Sono curiosa di verificare che non ci sia ancora l'hostess dalla faccia di plastica che c'era all'andata, una specie di Barbie mora, dal trucco spiccatamente mediorientale e i lineamenti troppo perfetti per essere veri. Non c'è, e le hostess che sono all'entrata ci ignorano e non rispondono neanche al nostro bonjour. Constatiamo che da quando MEA è partner di Alitalia il livello sembra essersi abbassato: che peccato. Per fortuna le bambine sono ancora soddisfatte del loro kids' menu con giochini annessi e della qualità dei film in tv.
L'aereo arriva con un piccolo, ragionevole ritardo. I bagagli arrivano relativamente presto, li prendiamo e ci dirigiamo al parcheggio dal quale usciamo senza difficoltà. Alla radio, la voce di Nicola e Linus mi riconcilia con l'Italia. Apriamo i finestrini, l'aria è fresca e frizzante, ci sono appena 25 gradi. Scorriamo veloci, c'è poco traffico. E' nuvoloso, ma non piove e la luce di Roma è speciale come sempre. Bentornati a casa.