Friday 11 July 2014

USA & Canada (day 1)

Sabato 14 Giugno 2014
Arriviamo in aeroporto con largo anticipo, forse eccessivo se consideriamo che tra durata del viaggio e le pause di scalo avremo a che fare con aerei e aeroporti per talmente tanto tempo (12 ore addirittura) che non avevamo bisogno di allungare ulteriormente i tempi di attesa. Ma tant'é. Ormai è chiaro: non abbiamo mezze misure, o last minute o early bird.


Avevamo un bagaglio minimo, visto che la valigia con cui pensavamo di partire ha deciso di passare a miglior vita, per cui abbiamo preso con noi solo il trolley che usiamo solitamente come bagaglio a mano e due zainetti. Come sia riuscita a condensare in uno spazio così esiguo il necessario per due settimane per due persone dirette all'altro capo del mondo è un segreto che non potrei svelare neanche se volessi. Comunque SI-PUO'-FARE. Sappiatelo. E' fondamentale affidarsi al principio del se-mi-manca-qualcosa-lo compro-lì. E rendersi conto del fatto che sono veramente poche le cose indispensabili e che nella maggior parte dei casi, tante delle cose che si ritenevano utili non vengono minimamente utilizzate. E poi il viaggiare, una volta tanto senza bambini, aiuta il minimalismo.


Siamo partiti con Lufthansa alle 11.50, con scalo di due ore a Monaco. Arrivati a New York alle 18.10 ora locale (per noi era mezzanotte!). Il viaggio è stato lungo ma il volo è stato piuttosto confortevole ed io (non riuscendo a dormire per più di dieci minuti in totale) ho fatto il pieno di film e serie televisive ("La Grande Bellezza", "Saving Mr Banks", "The Big Bang Theory").
L'aeroporto di Newark ci è sembrato un po' antico, obsoleto, stile anni '70. La cosa che ho subito notato è la gran quantità di personale che ci lavora, esagerata rispetto alla gente che in transito nel momento in cui siamo arrivati. Comunque, a Newark sperimentiamo per la prima volta la frase che ascolteremo più ricorrentemente dalle bocche degli americani "Hello, how are you today?" che, pronunciata da un emerito sconosciuto lascia sempre un po' perplessi, finchè non ci si rende conto che è un po' come l'uso eccessivo di frasi di cortesia tipico degli inglesi, con la differenza che gli inglesi usano le pleasantries per evitare che la conversazione vada oltre certi confini, gli americani (infinitamente più loquaci dei Britannici) le usano al contrario, per attaccare discorso e valicare allegramente i limiti delle convenzioni.
Dopo un po' di indecisione sui mezzi di trasporto da prendere, optiamo per il più economico: bus + treno + metro. Nutriamo qualche dubbio sul fatto che sia stata la scelta migliore, visto che l'autista gira intorno all'isolato ritornando alla stazione di partenza ben tre volte prima di portarci a destinazione (Penn Station). 
Il paesaggio che si intravede dal treno non è dei più poetici: attraversiamo una zona industriale, con capannoni, distese di cemento, cantieri alternati a degli sprazzi di natura selvaggia e palustre. La metro è praticamente un cantiere, uno dei binari è bloccato dai lavori in corso e dobbiamo subire il suono di un fastidiosissimo martello pneumatico. Un toccasana per il mio mal di testa da jetleg.



La metro è affollata e per errore (la mappa era poco chiara) prendiamo un treno che non ferma alla nostra fermata. Perdipiù, mentre ci rendiamo conto dell'errore, sale sul nostro vagone un ragazzo con una radio gigantesca dal volume altissimo: sta promuovendo il suo singolo rap, presente - ci informa - anche su itunes, e dopo averne cantato un paio di strofe chiede un contributo. Per poter scendere siamo quasi costretti a passargli sopra mentre sta afferrando i dollari offerti da qualcuno. Prendiamo finalmente il treno giusto e scendiamo alla 86 St., da dove raggiungiamo facilmente il nostro hotel. 
Il quartiere in cui si trova è molto gradevole, ordinato, poco affollato e tranquillo. Ma rimandiamo all'indomani una visione più approfondita e la scoperta del resto della città perchè siamo davvero troppo stanchi.


Ci viene assegnata una camera a dir poco lillipuziana, tanto che il bagno si trova a un passo (non metaforico!) dal letto. Ma è pulita e contiene l'unica cosa di cui abbiamo bisogno in quel momento: un giaciglio su cui dormire.
Alle 21.40 stramazziamo sul letto per la stanchezza. I pensieri che mi si affacciano alla mente prima che Morfeo abbia la meglio su di me sono pochi e confusi. Le prima sensazioni che ho provato arrivati a New York sono legate ai rumori (auto, sirene della polizia, martelli pneumatici, musica rap) e alle confuse immagini di disordine, caos, gente in movimento. Mentre perso i sensi mi viene in mente una domanda cui non saprò dare risposta, neanche alla fine dei 6 giorni trascorsi in questa città. Che odore ha New York?

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